I dati da soli non bastano, ma insieme all’intuizione sono una potenza.
Viviamo in un periodo in cui i dati contano sempre di più.
Sono ormai considerati un asset fondamentale a tal punto da essere percepiti come la misura chiave per capire se un’impresa resterà rilevante attraverso la rivoluzione digitale. Questo perché le aziende (soprattutto le grandi), facendo leva sui dati, possono ottenere grandi performance, sia in termini di riduzione dei costi, sia di creazione di valore.
Fonte: tenor.com
Negli ultimi anni, diverse ricerche dimostrano che le grandi imprese che si sono affidate ad un approccio data driven, sono quelle che meglio di altre hanno ottenuto dei buoni risultati in termini economici. Ma l’approccio al dato può avere i suoi limiti. Sviluppare ex-novo o rivedere l’organizzazione di un’intera azienda ha i suoi costi sia in termini strettamente economici sia in termini di competenze specifiche che bisogna avere per saperli interpretare.
I dati servono e sono utili se e solo se ci aiutano a prendere le giuste decisioni e in tempi brevi, e soprattutto se li sappiamo comprendere e decifrare.
Quindi il processo di acquisizione dei dati e la loro lettura deve essere facilitata anche per i non esperti.
Nella maggior parte dei casi, le PMI italiane hanno ancora un sistema di acquisizione e gestione dei dati frammentata, in parte analogica in parte digitale, spesso una gestione eterogenea e governata con diversi sistemi, fatta di report provenienti da diverse aree aziendali e non integrati fra loro. Spesso poi, questi dati, possono offrire una fotografia di situazioni ormai datate anche di mesi.
Oggi di cosa necessitano le aziende
Una cosa è sicura: le PMI hanno bisogno di partire dalla raccolta dei benefici chiave dei propri clienti. Questo perché un cliente non compra mai un prodotto o un servizio e basta, ma compra il beneficio o la soluzione ad essi collegati. Solo partendo dai benefici, si possono centrare più facilmente i bisogni, perché tentare di vendere qualcosa solo perché la sappiamo fare, andando a braccio o senza avere idea di chi sia il cliente può essere particolarmente pericoloso.
E quindi? Dato che vogliamo tentare di costruire una sorta di carta d’identità del cliente, la strada maestra è quella dell’ascolto (e dell’eventuale adattamento) attraverso un’analisi self-service dei propri dati che semplifichi e acceleri l’intero processo.
Alla fine della raccolta dei dati dovremo avere come output degli schemi (con grafici) e/o report di facili lettura. Non dovranno essere necessariamente schemi che rappresentino tutto (e tutte le sfumature), piuttosto dovranno essere fatti in tempi brevi, quindi semplici nella grafica e nei concetti. L’obiettivo è quello di arrivare, con il tempo, a memorizzare queste “mappe mentali” e usarle al momento opportuno (un po’ come un allenatore di calcio, quando in corsa ad una partita decide di cambiare lo schema di gioco, in base a tutta una serie di elementi della partita: tipo di avversari, qualità dei giocatori, forma fisica e infortuni, falli, ecc.).
Fonte: tenor.com
Come la realizzo la raccolta dati
Nell’attività di tutti i giorni, posso provare a inserire la raccolta dati con delle schede di profilazione. Generalmente la scheda di profilazione è proprio quello strumento che ci permette di raccogliere maggiori dati sui clienti, per poi tramutarli in informazioni che possono orientare le nostre scelte. Non esiste un’unica scheda di profilazione valida per tutti i settori merceologici. Quello che possiamo dire, però, è che spesso per inserire una scheda di profilazione nei propri strumenti di marketing, la PMI deve rivedere il suo processo di acquisto, magari riprogettando tutta l’esperienza che il cliente fa, nei suoi touchpoint fisici e digitali (cioè in tutti quei punti di contatto in cui incontra l’azienda).
A volte, invece, la PMI può decidere di fare una “raccolta adhoc” per avere suggerimenti e informazioni su scelte da compiere (lancio di un nuovo prodotto, miglioramento di un servizio, ecc.). In questi casi, sono fondamentali dei survey, da sottoporre ai propri clienti non necessariamente alla fine di un processo di acquisto. La PMI potrebbe voler sapere come viene percepita dai suoi clienti, quali sono le valutazioni di qualità, quali le variabili razionali, quali le variabili emozionali, che magari fanno scegliere il proprio brand rispetto al concorrente.
Detto in parole povere, la raccolta dati può diventare sia un modo per conoscere meglio i propri clienti, sia diventare un modo per misurare le performance aziendali.
La sfida oggi, è la selezione di uno strumento informatico che catturi e raccordi i dati che provengono da più touchpoint (e-commerce, newsletter, dati da fiere, sottoscrizioni varie, social, rivenditori, ecc.).
Una volta raccolti i dati li devo poter leggere facilmente
I dati, una volta aggregati, vanno analizzati e interpretati. Per fare questo serve una visualizzazione il più semplice e chiara possibile, che aiuti gli addetti ai lavori nella comprensione del dato grezzo.
Una delle soluzioni migliori, in base alla nostra esperienza è, come accennato in precedenza, quella di visualizzare i dati tramite immagini, non numeri (grafici, torte, diagrammi, ecc.).
Attenzione però! Questi dati ci indicano per es. i comportamenti d’acquisto o di non acquisto, ma non ci spiegano il perché di queste azioni, quindi le motivazioni che sono dietro a tali azioni.
Fonte: tenor.com
Ai dati vanno affiancate le motivazioni
La tecnologia da sola non è sufficiente, è solo una parte del problema.
Ed ecco che a questo punto ci vengono in aiuto 2 elementi:
1. Tecniche di ricerca qualitativa, anche queste implementabili in un software su misura o utilizzando una delle tante piattaforme a pagamento che ci sono online. Qui non bisogna però cadere nell’errore di considerare solo le grandi ricerche statistiche come unica soluzione a questo aspetto. Certamente avere un “campione statistico rilevante” può garantire alla nostra ricerca una solidità maggiore. I grandi numeri, però, spesso richiedono grandi quantità di tempo e di denaro prima di fornire una risposta alle nostre domande, che poi a distanza di mesi potrebbe risultare addirittura superata. Causa la struttura stessa della nostra società che cambia continuamente e velocemente. Un giusto compromesso potrebbe essere quello di ricevere delle risposte mirate da parte di una selezione più ristretta di nostri clienti (o futuri tali) divisi in base a delle caratteristiche di acquisto o a degli “stili e momenti di vita”. Questi gruppi non corrisponderanno ad un campione statistico vero e proprio, ma sapranno darci un’indicazione abbastanza chiara di quelle che sono le esigenze e le richieste di chi in qualche modo è già venuto in contatto con noi o è in linea con i nostri target.
2. Intuito e la sensibilità del marketer o di qualsiasi altra figura preposta in azienda a leggere insieme i risultati dei dati grezzi con i dati di natura qualitativa. Questa è una qualità tutta umana, che può essere inserita nelle cosiddette soft skill da ricercare all’interno dei curricula che arrivano al reparto HR di una grande azienda o più in generale sulla scrivania di una piccola PMI. In parole povere, si tratta di percepire il non detto, le tendenze e le nuove esigenze che emergono in un mondo in continuo cambiamento e evoluzione. Questo aspetto può essere “allenato”, nel senso che per affinare questa sensibilità, occorre abituare e addestrare la nostra mente, con letture mirate e strumenti informativi adhoc (oggigiorno non mancano video, podcast, articoli, paper, ecc.) e con l’osservazione e la continua sperimentazione di quanto letto e osservato. Così come si può arrivare a fare “un determinato gesto atletico” con lo studio e la ripetizione, allo stesso modo per intuire un trend o leggere con maggiore lucidità i dati lo si può fare rimanendo aggiornati con letture mirate, con l’osservazione della realtà che ci circonda, nutrendo il nostro cervello di spunti, stimoli e sensazioni. E anche quando non si è portati per “indole e caratteristiche personali” a gestire questo aspetto, lo si può cercare di delegare ad una risorsa interna o esterna alla nostra PMI.
Fonte: tenor.com
Questo mix tra cultura (cioè il mix tra studio, allenamento, strategia), tecnologia (cioè il mix tra analisi dei processi, selezione degli strumenti corretti) e fattore umano (cioè il mix tra esperienza e vissuti lavorativi, creatività, buon senso) è il giusto mindset che può consentire alle aziende di poter avere:
• nell’immediato una risposta alle esigenze dei clienti;
• nel lungo termine una visione del futuro e una direzione sul dove andare.
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Se sei una PMI e sei interessata a trasformare la tua azienda verso un approccio data driven, per poter migliorare l’acquisizione dei dati e poterli convergere in un unico strumento utile per la tua analisi strategica, contattaci: abbiamo delle soluzioni tecnologiche e dei percorsi strategici che potrebbero fare al caso tuo!
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